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27 gennaio 2019

Un altro modo per non dimenticare

https://www.doppiozero.com/materiali/giorno-della-memoria/elena-loewenthal-contro-il-giorno-della-memoria

Elena Loewenthal. Contro il giorno della memoria


Elena Loewenthal è una scrittrice e traduttrice italiana. Ha tradotto numerosi testi ebraici e collabora con il quotidiano La Stampa di Torino.

“Io rinnego il GdM: non mi appartiene, non gli appartengo, non riguarda me e la mia, di memoria. La mia memoria non comunica: è soltanto la avvilente consapevolezza di una distanza minima, ma insormontabile. Io che sono nata poco dopo che tutto era finito, che sono vissuta circondata da quel passato, da quei ricordi – per lo più pestati sotto il tallone del silenzio, non per rimuovere quel passato, ma perché per tornare a vivere era fondamentale non lasciarlo parlare, almeno per un po’ di tempo – so per certo un’unica cosa, di quella memoria: che non potrò mai nemmeno lontanamente sentire quello che ha sentito chi è stato dentro quel tempo, quelle cose. 


Il silenzio all’inizio è un patto, tacito ma solido: gli ebrei prima marginalizzati e poi espulsi, ricercati, braccati e poi in parte ritornati, rientrano nel consorzio sociale a patto di non porre problemi alla società, in altre parole di non chiedere della violenza subita. È il passaggio che forse in forma esemplare ha descritto Giorgio Bassani nel suo Una lapide in via Mazzini, .

In seguito, negli anni ’90, complici molte cose, quel passato inizia emergere prepotente nella discussione pubblica in Italia, anche se obbliga a rivedere i modi con cui ci siamo raccontati che cosa sia stato il fascismo, quanto peso abbia avuto nella formazione del cittadino, che cosa sia rimasto dopo
È questa ridondanza a convincere Elena Loewenthal della precarietà, e forse persino della falsità, se non dell’inconsistenza, di questa data memoriale. Perché, si chiede, ogni anno bisogna cercare qualcosa di nuovo?  

Per tre motivi sostiene: 1) perché il GdM è diventato il giorno degli ebrei morti, anziché quello in cui al centro stanno i vivi, quelli che allora c’erano e i loro successori. Giorno cioè in cui il soggetto non sono gli ebrei, ma coloro che con gli ebrei si sono relazionati (in termini di persecuzione, di astio, ma anche di soccorso, di aiuto). In altre parole il GdM nato per parlare dei vivi, si è trasformato in una copia del 2 novembre, ossia nella commemorazione dei morti; 2) perché la memoria che deriva da quest’omaggio implica la reiterazione del precedente paradigma che aveva chiesto il silenzio come scambio di reingresso. Se prima era il silenzio ora è l’omaggio, ma lo scambio è identico: ciò che ti chiedo è la normalizzazione, la cessazione della tua identità; 3) perché quella reiterazione e la persistenza a non normalizzarsi da parte degli ebrei sono percepite come “rendita di posizione”, come “industria”, come sfruttamento di un senso di colpa, da cui il GdM vorrebbe essere il ticket.

Forse non ha torto Elena Loewenthal. Il problema è che le urgenze del tempo presente obbligano a trovare risposte diverse in un contesto in cui sono in rapido aumento la rivendicazione delle appartenenze e le intolleranze.


 Il “Giorno della Memoria” parla a una generazione di ventenni che di fronte hanno la crisi dell’Europa? Se sì, in quale forma, attraverso quali parole, quali immagini? Quell’Europa di cui il “giorno della memoria” era una data significativa ora è in bilico. La crisi dell’uno rinvia alla crisi dell’altra e viceversa. Il silenzio non è una soluzione, ma la conferma di quella crisi. Un suo specchio, più che il suo superamento.  Davide Bidussa

 Penso che le parole di  Elena Loewenthal siano una provocazione alle azioni e alle espressioni sempre più distanti da quella che fino  ad oggi è stata definita   "DEMOCRAZIA".,  verso coloro che attraverso i social, istigano all'odio contro  coloro che la pensano diversamente, a chi non si preoccupa di soccorrere persone in balia delle onde, a chi cerca di dimostrare che l'Unione europea è stata l'inizio di un periodo disastroso




3 commenti:

Franco Battaglia ha detto...

..e servono provocazioni, evidentemente, se da un lato celebriamo l'Olocausto cospargendoci il capo di cenere, e dall'altro teniamo bimbi in mezzo al mare a morire di stenti e freddo, senza alcun rimorso.

iacoponivincenzo ha detto...

Quoto e sottolineo a due mani quello che Elena Löwenthal dice e sostiene.
Cosa direi fossi ebreo, reduce da uno dei campi di concentramento, vista la mia età?
Direi di sicuro: "potevate fare qualcosa prima, porci figli di porci. Adesso andate tutti a cagare".
Io non ricordo solo la strage di ebrei, colpevoli solo che un uovo ebreo fosse stato fecondato da uno spermtozoo ebreo, ma il martirio sei superstiti, sballottati di qua e di là sopre una nave ammassati -vedi vedi e nel 1948 Salvini non era ancora nato, ma i porci inglesi sì- in quello che fu chiamato "L'Esodo", e su questa storia fu girato un film molto bello con uno strabello Paul Neuman. E i primi terroristi furono gli ebrei, che iniziarono -giustamente- a far saltare caserme inglesi, che occupavano come erano soliti fare loro la Palestina. Ora è tutto dimenticato perché quella pagina di disonore i britannici ed i loro leccaculo -l'ultimo va in giro con una scimmia bionda sulla testa, sì quello che tenta da due anni di far deflagrare la prossima guerra mondiale, sì l'imbecille amerregano- vogliono che sia dimenticata.
GdM di che? Ce ne sarebbero allora giorni da ricordare.

Mariella ha detto...

Io non sono d'accordo. Quel che scrive Elena dipende anche e molto dal Giorno della memoria. Provoca? Chissà, certo la provocazione è molto più facile.