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25 novembre 2019

E' un post interminabile, ma vi consiglio di leggerlo,sembra un romanzo noir e anche dell'orrore

Violenza sulle donne, un reato ogni 15 minuti. Vittime e carnefici italiani nell'80 per cento dei casi.Ogni giorno in Italia 88 donne sono vittime di atti di violenza, una ogni 15 minuti.



Pene leggere. Libertà riacquistata. E ritorno alle violenze. I dati e le storie del femminicidio, un fenomeno in crescita. E ancora drammaticamente sottovalutato

«Ho solo ammazzato mia moglie, ora mi rifaccio una vita»




Pene leggere. Libertà riacquistata. E ritorno alle violenze. I dati e le storie del femminicidio, un fenomeno in crescita. E ancora drammaticamente sottovalutato

  Massimo tre giorni e mi deve far uscire, c’ho da fare. Ho solo sparato a mia moglie». Armando Nuccetelli non ha dubbi, non ha fatto niente di grave, niente che meriti una pena più lunga di tre giorni. In fondo ha solo sparato a sua moglie, Assunta Finizio detta Susy, madre di suo figlio, dopo una vita di violenze. E lui c’ha da fare. Cosa hanno da fare gli uomini, dopo che hanno ucciso le donne?
Nel caso di Nuccetelli lo sapremo solo tra una quindicina di anni, o forse meno, quando avrà finito di scontare la pena già dimezzata in appello. Ma in molti altri casi sappiamo già com’è la vita normale di lui dopo la morte di lei.

È il 2003. Diego Armando Mancuso ha 30 anni e lavora come muratore a Milano. La sua fidanzata, Monica Ravizza, estetista di 28 anni, è incinta ma non vuole sposarlo. Lui la accoltella e dà fuoco al corpo. Viene condannato in primo grado a 18 anni, poi ridotti a 16 anni e 8 mesi, ma 5 anni dopo è fuori grazie all’indulto. Ora lavora per un’azienda comunale, ha uno stipendio e la sua vita è tornata normale.

Luca Ferrari compie 20 anni il 14 marzo 1996, va con la macchina a prendere la fidanzatina a scuola, a Reggio Emilia. Jessica ha 17 anni, quando esce da scuola sale sull’auto di un altro. Luca “non ci vede più” eppure riesce a colpirla con 43 coltellate. La condanna in primo grado all’ergastolo viene ridotta a 23 anni in appello. È libero dal 2012 (16 anni dopo il delitto). In un’intervista chiede: «Per favore, dimenticatemi: sto cercando di rifarmi una vita».
Anche Alex Maggiolini aveva 20 anni
Alcuni uomini che hanno ucciso le donne riescono a ricominciare. Spesso in carcere studiano, come il marito di Elena Ceste, Michele Buonincontri, o Carlo Lissi, autore della strage di Motta Visconti, che ne approfittano per laurearsi. Alcuni apprendono una professione, da utilizzare una volta fuori. Ma troppi tornano a commettere reati contro le donne.
La recidiva degli uomini violenti è straordinariamente alta, come dimostrano i numeri raccolti dalla banca dati Istat sulla violenza alle donne: su 585 condannati nel 2017 per omicidio volontario consumato, 432 avevano già precedenti penali e, tra coloro che tornano a delinquere, oltre il 50 per cento commette lo stesso reato. Percentuali simili a quelle dell’omicidio volontario tentato. Per quanto riguarda i maltrattamenti in famiglia e sui minori, su 2699 condanne, oltre un terzo riguarda soggetti con precedenti penali. Tra i 357 recidivi, quasi il 50 per cento torna a essere maltrattante. Anche la violenza sessuale presenta una ripetitività: su 1568 condannati, circa la metà aveva precedenti penali alle spalle e, di 157 recidivi, 64 commettono nuovamente lo stesso reato.
Alcune storie hanno avuto maggiore risalto mediatico, come i crimini ripetuti commessi da Angelo Izzo, Luca Delfino, Danilo Restivo. Ma ve ne sono molte altre, meno conosciute .


 Anche Alex Maggiolini aveva 20 anni quando, il 2 marzo 1991, violenta e poi strangola la fidanzata, Rossana Jane Wade, studentessa 19enne, e ne getta il corpo nei pressi di un casello ferroviario in disuso a Fiorenzuola, nel piacentino. Condannato a 23 anni in primo grado e a 15 anni e 8 mesi in via definitiva, torna libero dopo 12 anni. In carcere si è laureato, tornato libero si sposa e compra casa a Piacenza, proprio vicino alla casa della mamma di Jane.
Massimiliano Gilardoni è tornato a vivere proprio dove abitava la donna che ha ucciso, a Bellagio, vicino ai genitori di lei. Era sposato e aspettava un figlio, eppure continuava a corteggiarla, ma Anna continuava a respingerlo e lui, il 10 aprile del 2002 la sgozza. Condannato in primo grado a 16 anni, ridotti in appello a 14 anni e 6 mesi, esce dal carcere dopo appena 2 mesi ottenendo i domiciliari in una casa di cura. Tra indulto e sconti di pena è tornato libero dopo 10 anni, ma il padre di Anna è meglio che non lo sappia.


Il padre di Barbara Bellerofonte non può crederci: quel ragazzo che lavora nel chiosco di Montepaone, un piccolo centro in provincia di Catanzaro, è proprio lui, Luigi Campise: il 24enne che due anni prima ha scaricato una raffica di proiettili sulla fidanzatina. La ragazza, appena diciottenne, muore con una pallottola nella testa dopo un mese di atroci sofferenze. Luigi viene condannato a 30 anni di reclusione, ridotti a 16 in appello. Come mai è libero e lavora nel bar al centro del paese? Il padre di Barbara lo chiede al Ministro, che invia gli ispettori e scopre che «è stata erroneamente applicata la buona condotta». Dal canto suo, Campise rilascia interviste in cui si dice pentito e pronto a pagare il suo debito: da quel giorno non è più andato a mangiare una pizza e non si è comprato neanche una maglietta.
Alcuni uomini che hanno ucciso le donne riescono a ricominciare. Spesso in carcere studiano, come il marito di Elena Ceste, Michele Buonincontri, o Carlo Lissi, autore della strage di Motta Visconti, che ne approfittano per laurearsi. Alcuni apprendono una professione, da utilizzare una volta fuori. Ma troppi tornano a commettere reati contro le donne.
La recidiva degli uomini violenti è straordinariamente alta, come dimostrano i numeri raccolti dalla banca dati Istat sulla violenza alle donne: su 585 condannati nel 2017 per omicidio volontario consumato, 432 avevano già precedenti penali e, tra coloro che tornano a delinquere, oltre il 50 per cento commette lo stesso reato. Percentuali simili a quelle dell’omicidio volontario tentato. Per quanto riguarda i maltrattamenti in famiglia e sui minori, su 2699 condanne, oltre un terzo riguarda soggetti con precedenti penali. Tra i 357 recidivi, quasi il 50 per cento torna a essere maltrattante. Anche la violenza sessuale presenta una ripetitività: su 1568 condannati, circa la metà aveva precedenti penali alle spalle e, di 157 recidivi, 64 commettono nuovamente lo stesso reato.
Alcune storie hanno avuto maggiore risalto mediatico, come i crimini ripetuti commessi da Angelo Izzo, Luca Delfino, Da Restivo. Ma ve ne sono molte altre, meno conosciute ma non meno atroci. Gaetano De Carlo, carrozziere 55enne di Vailate, negli ultimi anni era stato denunciato oltre 7 volte da almeno 4 donne. Ma nessuno aveva inserito quelle denunce nei data base e lui non aveva subito alcun processo. Così, la mattina del 30 giugno 2010, Gaetano si mette in macchina e va prima a Riva Di Chieri, in provincia di Torino, dove ammazza a colpi di pistola Maria Montanaro. Poi si rimette in macchina e raggiunge Rivolta D’Adda, vicino Cremona, dove uccide Sonia Balconi, una giovane mamma che tormentava da anni. Altre due ex di De Carlo che lo avevano denunciato si salvano probabilmente solo perché lui si suicida prima di raggiungerle.

I reati di genere sono tra quelli che maggiormente influiscono sulla vita altrui, eppure solo in pochi casi vengono puniti con il massimo della pena prevista: le condanne per omicidio volontario tentato nella maggior parte dei casi non arrivano a dieci anni, quelle per violenza sessuale si fermano a  a un anno e pochi mesi, come quelle per maltrattamenti in famiglia o verso i minori. Prima dell’entrata in vigore del codice rosso, molti hanno potuto usufruire anche degli sconti concessi dal rito abbreviato, oltre alla possibilità di dimezzare le pene in appello e ottenere permessi premio, libertà vigilata e sconti di pena.

«Il ridimensionamento della violenza contro le donne è diffuso in tutti i contesti, è un problema culturale che troppo spesso si riscontra anche all’interno delle aule di giustizia, dove non solo i testimoni ma le stesse vittime e purtroppo anche molti giudici tendono a ridimensionare la gravità dell’accaduto», dice il magistrato Paola Di Nicola. «Ben venga il codice rosso, che innalza anche se di poco le pene minime, ma è un segnale necessario: la pena è la rappresentazione della gravità che lo Stato attribuisce a un reato. Se la pena è bassa, vuol dire che quel reato non è molto grave e anche la persona che lo subisce ha poco valore. In Italia non esiste uno studio specifico sui provvedimenti giudiziari nei casi di violenza di genere, ma sarebbe opportuno e necessario per capire la situazione, che è quella di un generico ridimensionamento sia del reato sia della persona che ne è vittima: non solo le sentenze attribuiscono pene lievi, ma fanno anche largo uso di benefici e attenuanti. Questo fa sì che da parte delle donne vi sia un senso di svalutazione e resa, mentre gli uomini violenti possono godere di un senso di impunità. Le vittime non chiedono pene esemplari, ma semplicemente che venga punito il reato».
Il ridimensionamento della violenza sembra invece la normale prassi. Capita così che qualcuno trascorra davvero in carcere solo un paio di giorni. È accaduto ad esempio a Renato Di Felice, 53enne contabile che il 24 ottobre del 2003 uccide con due coltellate la moglie 49enne, Maria Concetta Pitasi, ginecologa, davanti alla loro figlia sedicenne. Per lui il Pm aveva chiesto 14 anni, ma il Gup gliene ha dati 6.  Poi, tra l’indulto e altre circostanze, ha trascorso in carcere solo pochi giorni e ha dichiarato che uccidere la moglie «è stata una liberazione».

Il racconto dei femminicidi è spesso condito da spiegazioni come lo stress, la depressione, il raptus e la follia, l’incapacità di accettare un rifiuto o l’abbandono, la paura di perdere la donna della propria vita o l’altruismo estremo pernon vederla più soffrire. Attenuanti che entrano anche nelle sentenze, come la recente “tempesta emotiva” di Michele Castaldo (poi respinta in Cassazione) per l’omicidio di Olga Mattei, o la “gelosia” che nel 2011 è valsa l’assoluzione di Gianfranco Turolo per l’uccisione della moglie.

Danut Daniel Barbo ha comprato il coltello con cui uccide Ofelia giusto il giorno prima, ma l’esclusione della premeditazione gli evita l’ergastolo. Nessuna premeditazione neanche per Marco Manzini, che l’11 febbraio 2009 uccide la moglie Giulia Galiotto nel garage di casa, chiude il corpo in un sacco che getta nel fiume e mette in scena un falso suicidio. Neanche Salvatore Parolisi è stato crudele quando ha ucciso Melania Rea con 35 coltellate.

La concessione di sconti e permessi, la possibilità di uscire dal carcere o la concessione dei domiciliari, sono previsti dal sistema giudiziario, ma talvolta rappresentano un pericolo per la vittima: dov’è il confine tra diritti del colpevole e tutela della vittima?

Paolo Pergher, cuoco 46enne di Trento, nel mese di luglio del 2002 accoltella la moglie Rita Trettel, ottiene i domiciliari e tre mesi dopo la strangola. Oggi è libero e pubblicizza su Internet il suo ristorante albergo Edelweiss.
Aveva già tentato di ammazzarla una volta, la bella Anna Rosa, quando a luglio del 2005 l’aveva accoltellata, davanti al figlio di appena 7 anni, nell’androne della loro casa a Matera. Ma lei si era salvata e lui era stato condannato: 12 anni e 6 mesi, ridotti a 8 anni e 4 mesi con rito abbreviato. Poi gli erano stati concessi i domiciliari: a 300 metri dalla casa di lei, che così può tormentare ogni giorno. L’appello riduce ulteriormente la pena a 6 anni, e con l’indulto del 2009 Paolo Chieco è libero. L’8 dicembre 2010 la uccide. La Corte d’Assise d’appello lo condanna a 30 anni.

Loredana Colucci ha 41 anni e vive ad Albenga. Ha denunciato il marito che ha tentato di ucciderla, e lui è finito in carcere per due mesi prima di ottenere i domiciliari. Da allora ha continuato a minacciarla, e per tre volte lei lo ha denunciato. Ma per tre volte il sostituto procuratore del tribunale d’Imperia, Filippo Maffeo, dice no all’arresto di Mohamed Aziz el Mountassir detto Simone, 52 anni, giardiniere, che il 2 giugno 2015, all’ora di pranzo, massacra a coltellate l’ex moglie davanti alla loro figlia 13enne.

L’aveva violentata quando lei aveva appena 14 anni. Deborah Rizzato era poco più che una bambina, ma lo ha denunciato e mandato in galera. Tre anni dopo, Emiliano Santangelo è di nuovo libero e per 7 lunghissimi i anni la perseguita, la minaccia e la aggredisce. La mattina del 25 novembre 2005 l’aspetta nel parcheggio della fabbrica dove Deborah lavorava come operaia tessile, la investe con la macchina la uccide a coltellate.
L’aveva ridotta in fin di vita con 4 coltellate al collo, ma lei si era salvata e lui era stato condannato a 8 anni di reclusione. 10 mesi dopo era già agli arresti domiciliari. Così Luigi Faccetti, 24 anni, tende un tranello a Emiliana e finisce di ucciderla con un numero di coltellate impossibile da stabilire, forse più di 80. Condannato a 30 anni con rito abbreviato.

Asilan Agaj godeva di ottima reputazione a Cave, il piccolo centro vicino Roma dove abitava con la famiglia e lavorava in una impresa edile. In regola, una vita tranquilla e normale, una moglie e due figli. Fino a quando, il 20 ottobre 2001, sfonda a picconate il cranio della moglie, Enkelejda, 32 anni. Condannato in appello a 14 anni di reclusione, dopo 9 è di nuovo libero, conosce Brunilda e va a vivere con lei a Sutri, vicino Viterbo. L’11 novembre 2014 la uccide a coltellate.

Il 10 settembre 2011, in provincia di Venezia, Franco Manzato, 48 anni, sgozza la seconda moglie, Elena Para, con 14 coltellate. Undici anni prima aveva tentato di uccidere la prima moglie a colpi di forbice. Condannato a 28 anni di reclusione ridotti a 20 in appello. Anche Massimo Ciccarelli era stato denunciato dalla prima moglie e ha strangolato la seconda.Luigi Alfarano era già stato incriminato pe violenza sessuale e violenza aggravata privata, ma aveva patteggiato. Federica, sua moglie, voleva lasciarlo, ma lui l’ha massacrata di botte e ha ucciso anche il figlio, Andrea, di appena 4 anni.

Alla clemenza verso gli uomini violenti, si aggiunge la diffidenza verso le donne che chiedono aiuto. Tre denunce su quattro vengono archiviate, spesso con conseguenze irreparabili.
Deborah Ballesio aveva denunciato l’ex marito Domenico Massari ben 19 volte prima che lui la uccidesse con 6 colpi di pistola (Savona, 13 luglio 2019); Marianna Manduca aveva presentato 12 denunce contro l’ex marito Saverio Nolfo, che l’ha uccisa con 12 coltellate (Catania, 3 ottobre 2007). Monica Da Boit aveva chiesto l’intervento della pattuglia la notte in cui Giampaolo Regazzini l’ha massacrata (Verona, 14 ottobre 2005) ma non era arrivato nessuno. E ancora: Silvia Mantovani, uccisa da Aldo Cagna dopo 6 anni di minacce; Maria Carmela Isgrò, strangolata dall’ex marito Nicola Siracusa; Stefania Cancelliere, massacrata a colpi di mattarello dall’ex marito, il primario oculista Roberto Colombo cui erano state sequestrate le armi dopo la denuncia per minacce. Il capo della polizia Gabrielli, interpellato sulla vicenda di Ester Pasqualoni (l’onocologa di Teramo uccisa da uno stalker dopo 10 anni di denunce) ha dichiarato: «Mica possiamo incarcerare tutti gli stalker». 
Il segreto  

Invece SI' , perché lo ' stolkeraggio' è un campanello d'allarme pericolosissimo. Se non vogliono chiamarli carceri, li chiamino  'centri di recupero ',  ma ne organizzino uno in ogni carcere territoriale, con psichiatri e psicanalisti e usino magari anche il pentotal per misurare il grado di ravvedimento. Un ministro , mi sembra Toninelli, chiede soluzioni per arginare questa tragedia e questa è la mia idea.
  Due pareri opposti sulle donne.
  • La donna è tutta fiele; ha due momenti buoni nel letto e nella tomba.

  • Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna!
    (William Shakespeare)













6 commenti:

Gus O. ha detto...

Dopo una serie di linee verticali posso commentare.

Per fronteggiate l'emergenza bisogna inasprire le pene su chi si macchia del reato di violenza sulle donne.
Per cominciare a risolvere il problema nelle famiglie e nelle scuole si deve insegnare una metodologia di contrasto al maschilismo.
Ma il problema che sembra irrisolvibile è quello di rompere i rapporti con gli Stati dove la donna è trattata come una schiava.
Chi ha la forza di rompere con il fondamentalismo islamico che spadroneggia nei Paesi che ci forniscono il petrolio?

Enrico zio ha detto...

Uno che sevizia, deturpa con l’acido, uccide la donna che gli è accanto, è solo una merdaccia che non sa cosa è l’amore. Mi sembra abbastanza normale che quell’essere, uscito dalla galera, torni prima o poi a seviziare anche la nuova compagna.
Buona giornata, un abbraccio
enrico

Fabio Melis ha detto...

Veramente bella quella citazione di Shakespeare. La giornata di oggi è utile per prender consapevolezza di una realtà degradata. Di una violenza abominevole che cerca di far paura e annichilire le vittime. Da domani l'impegno deve essere costante perché solo con la lotta quotidiana ( e non certo nel silenzio) questa battaglia può esser vinta. Un salutone a te.

Mariella ha detto...

Ho letto tutto durante la pausa. Scoraggiante. Vittime che potevano essere salvate se solo lo stato avesse fatto lo stato, senza concedere nulla. Con il fine pena mai. Dovrebbero marcire all'inferno, senza poter più vedere il cielo. E invece sono spesso liberi come l'aria. Pronti a colpire nuovamente. Perché dal marciume che hanno dentro non si può guarire.

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Un post da brividi e come dice Mariella anche scoraggiante. Per questo bisogna insistere anche con il chiedere pene certe e severe, e soprattutto realmente scontate senza uscire dopo poco tempo pronti a tornare a "cacciare" la loro "preda" se già non l'hanno uccisa

Cesare ha detto...

Per contrastare la prepotenza maschilista l'unico rimedio è l'azione costante della scuola fin dai primissimi gradini. Solo così si può cercare di produrre il necessario cambiamento culturale. Deve essere un obiettivo primario dell'educazione.